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Un Ministro per Internet? Sì, grazie!



Da circa 10 giorni, si continua a leggere sulla Rete se vi sia o meno la necessità di un “ministro per internet”. Il motivo di tutto questo vociare sul tema, lo si deve al fatto che diverse fonti di informazione hanno portato alla luce i dati monetari del 2010, in cui si dava evidenza di quanto internet, generi ricchezza economica per il Paese e, di consegeunza, quanto valore monetario apporti nelle casse dello Stato.
Come molti avranno letto, ad oggi il web copre il 2% del PIL, ossia 50 miliardi di €uro. 

È questa la cifra che la cosiddetta economia digitale ha prodotto nel 2010: 30 miliardi generati e 20 miliardi prodotti indirettamente, per mezzo dell'indotto. Ma non è tutto; dal 1995 ad oggi, infatti, internet ha generato non solo mere grandezze monetarie ma anche grandezze occupazionali: sono ben i 700.000 posti di occupazione nei 15 anni della sua presenza nel "sistema Italia”. E se qualcuno volesse chiosare, indicando anche quanto lavoro ha sottratto ad altri settori, secondo McKinsey, emerge anche il dato che per ogni posto di lavoro perso a causa di Internet si creano altri 2,6 posti di lavoro


Oltre all'importanza che questo asset ricopre, inoltre, vi è anche il fatto che è definito ormai come "insostenibile" lo spread digitale dell’Italia nei confronti dei principali Paesi del mondo e d'Europa; l'elevato tasso del c.d. digital divide in Italia, causato dalle aree non coperte dal segnale ADSL, dalla scarsa presenza della Banda Larga -della banda larga ribadisco, non della ADSL- e dalla insufficiente presenza di sostenuti incentivi monetari per le classi meno abbienti, finalizzati all'acquisto di strumenti per l'accesso alla Rete. 

Insomma, misure e grandezze che spiegano il perché sia nata la legittima domanda del perché non sia ancora presente un ministero per internet. Certamente sarebbe auspicabile che un asset economico come internet -o meglio, in senso ampio l'economia digitale in generale- che genera importanti valori monetari e volumi d'affari e possa avere un'attenzione, da parte del Governo, più dedicata e maggiormente sensibile.

Come si è visto dai dati alla mano, già oggi esso ricopre un peso critico per il PIL e per l'economia del Paese in generale; ma l'attenzione deve anche essere verso il medio-lungo periodo, dato il peso che questo segmento andrà sempre più ad assumere nei prossimi anni, in misura direttamente proporzionale ai volumi di crescita YoY. Le stime di alcune autorevoli survery su questo tema (cfr. Cisco) ,mostrano previsioni di crescita, dal 2010 al 2015, molto nette ed estremamente mutevoli. 

Se le stime condotte, fossero previsioni aderenti alla realtà a cui si andrà in contro -cosa non difficile- dovrebbe essere un imperativo irrinunciabile la presenza di un soggetto autorevole che che con vivo interesse e sentita priorità guidi il Paese verso un miglioramento -di molto operabile- in questo settore. È quindi necessario, purtroppo, porre in evidenza il fatto che gli sforzi sinora condotti, tesi al miglioramento del successo dell'economia digitale, seppure apprezzabili, siano ancora troppo insufficienti e poco adeguati alle caratteristiche di questo contesto .  

Varrebbe la pena porsi la questione su come funziona negli altri Paesi comunitari e senza fare troppi chilometri, si può osservare quanto è stato fatto in Francia. Oltre alpe, infatti, non vi è un "ministero di internet" così rigidamente definito, ma neppure un ministero del cosiddetto -e poco focalizzante- “sviluppo economico” bensì un "ministero dell'industria, energia ed economia digitale". Il ministro Eric Besson è il soggetto a capo di questo dicastero; a differenza  dei nostri ministri, è spesso presente nei forum reali e virtuali, in cui si approfondiscono ed affrontano temi riguardanti il web e l'economia digitale. Eric Besson è anche un fervente utilizzatore di Twitter, impiegando questo strumento, non solo come mezzo di divulgazione ed aggiornamento, ma anche come spazio di confronto ed interazione con i cittadini, a differenza di quanto avviene con -alcuni- dei i nostri politici, dove il canale Twitter sembra a volte essere solo un mezzo di propaganda veicolato dal proprio ufficio stampa; a nome di Monsieur Besson, si trovano due account su Twitter: il primo è quello gestito dal Ministro, mentre il secondo è gestito dal capo gabinetto del dicastero. 

E in Italia quale ministro si occupa della cosiddetta economia digitale? La risposta è il -ben noto- neo ministro Corrado Passera e precedentemente ministro Paolo Romani, a capo del Ministero dello Sviluppo Economico. La denominazione scelta oltre alpe di "Ministero dell'industria, energia ed economia digitale" mostra con maggiore nitidezza quelli che sembrano per il governo gli asset chiave da salvaguardare e sviluppare, rispetto ad una denominazione più fumosa e dai contorni non ben definiti quale "sviluppo economico". A prescindere dalla scelta del significante, anche il significato non sembra includere con nitidezza l'asset "internet" come elemento critico per l'economia domestica e l'interesse nazionale. Se si legge quali sono le competenze del ministero dello sviluppo economico, non appare neanche una sola volta la dicitura "internet" o "economia digitale". 

Non è certo un nome a dare maggior peso alle scelte politico-operative, tuttavia, il fatto che un governo scelga una denominazione come "Energia, Industria ed Economia Digitale" dà immediata evidenza e consapevolezza di quali siano gli elementi chiave del tale dicastero, rispetto a "Sviluppo Economico". Non è la semiotica a fare la differenza o dare maggiore chiarezza agli obiettivi, ma è pur vero che ciò nei primi del Novecento si chiamava "Ministero della Guerra" oggi si chiama "Ministero della Difesa".

 
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