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Decreto Giochi. God Save the Adv!

Ed ecco l'arrivo di un'ennesima notizia al cardiopalma che lascia gli operatori del settore, come anche e soprattutto i relativi dipendenti dei 97 concessionari AAMS, senza fiato. È questo l'effetto della tanto discussa manovra di Delega Fiscale che doveva arrivare venerdì 26 giugno sul tavolo del Consiglio dei Ministri e che doveva includere il "decreto giochi". Tra i punti, anche la possibile limitazione completa della pubblicità dei giochi d'azzardo su tutti i canali, ad eccezione delle sponsorizzazioni e iniziative benefiche.

Per ora, il decreto non entrerà in vigore, ma ci si domanda quanto ci vorrà, quanto tempo dovrà durare questa momentanea fase di limbo. Si ipotizza, inoltre, l'eventualità che il (non più) decreto verrà convertito in disegno di legge, con i relativi iter più lunghi e tortuosi.

Già attualmente, a seguito del Decreto "Balduzzi", emesso dall'omonino ministro del precedente Governo Monti, vi sono diverse limitazioni in tema di pubblicità per gli operatori regolari, con concessione AAMS. Tuttavia, il decreto Balduzzi rappresenta un mero palliativo e sembra decisamente un compromesso che non presenta un grado di efficacia sufficiente per arginare la diffusione del gioco. Insomma una soluzione arlecchinesca, un po' all'italiana, del tipo “volemose bène e annamo avanti”, che lascia maculato il tessuto del web. 

Riporto per esempio 3 norme del decreto Balduzzi qui sotto e 3 relative considerazioni:

Per esempio.
  • Norma decreto 1: il divieto di andare on air con spot televisivi 30min. precedenti e successivi di programmmi rivolti a bambini/adolescenti, in TV, radio, cinema etc.
  • Feedback 1: chiunque con un minima competenza in tema di planning - come del resto chiunque dotato di buon senso - comprenderà facilmente che appare abbastanza remota la possibilità che un’azienda spenda soldi, pianifichi di andare on air con spot pubblicitari verso un pubblico non in target, verso un’audience non di riferimento. Personalmente, on conosco un centro media che suggerirebbe a un'azienda di betting/gambling di pianificare su "Bianca e Bernie", anche se in onda alle h.21,10.

  • Norma decreto 2: riportare su qualsiasi spot TV, radio, cartellonistica e anche pubblicitià online una dicitura che avvisi che il Gioco può portare a dipendenza patologica e altri disclaimer come logo AAMS.
  • Feedback 2: Non tutte le forme di pubblicità online. Google AdWords non è soggetta a tali limitazioni e questo canale rappresenta una fetta molto importante nella generazioni di conti. Inoltre, anche i post di facebook sponsorizzati e i promoted tweet non richiedono la dicitura. Quindi quale risultato? Un panorama che risponde solo in parte a ciò che lo stesso decreto si propeneva di mettere in atto.

  •      Norma decreto 3: riportare un'indicazione della possibilità di consultazione sulle probabilità di vincita e/o sulla percentuale di raccolta destinata a montepremi. 
  •      Feedback 3: una "mossa" intelligente per alcuni prodotti, come il Superenalotto, Win for Life, Gratta&Vinci che hanno bassa percentuale di vincita. Per le slot machines, prodotto che dal 2011 vede una prospera crescita nel mercato, invece, questa informazione può anche essere impiegata come più positiva leva di marketing nella comunicazioni. Le percentuali di vincita di molte slot, hanno percentuali di vincita vanno da più dell’85% per arrivare fino anche al 120%! (non male come claim no? ... anzi se guardate qualche annuncio AdWords di qualche Azienda potrete anche vederlo ;-) 

Che dire oltre? Vi sarete già fatti la vostra opinione! Ai posteri l'ardua sentenza..

Il 56% delle post-view non esiste. Parte 2: il planning.


In un post precedente ponevo qualche riflessione alla fase di analisi di quelle che sono le c.d. post-view. A ben vedere, la riflessione non impatta solo sull'analisi, ma anche e soprattutto sulla fase di acquisto. 

Questa survey attesta come alcuni formati e alcune posizioni, a dispetto di ciò che è dato per condiviso ed accettato quasi universalmente, siano quelli che non vengano visualizzati, o per lo meno, non così tanto come ci si aspetterebbe.

I risultati che questa survey porta alla luce, impattano sì sulle fasi di analisi e relative considerazioni che si debbono trarre dopo aver analizzato i propri report, ma ne sono coinvolte anche e soprattutto le fasi di planning e acquisto di alcuni tipi di campagne, come le campagne retargeting, RTB e alcune modalità di attribuzione PV con i network di affiliazione, come il prodotto di Zanox TPV, acronimo di True-Post-View. 

Zanox offre da tempo un servizio per avvantaggiare le modalità di calcolo post-impression che si chiama TPV. I punti 2 e 3 di questa survey minano un po' quel plusvalore che il prodotto vorrebbe offrire. Il prodotto TPV offre posizioni che assicurano il fatto che siano effettivamente viste, poiché i formati sono i 300x250 e 728x90 e solo collocati nella parte alta della pagina. 

Questa survey comunica sia che la parte top dell'area above-the-fold non gode della migliore visualizzazione come si è portati a pensare (quella migliore è sopra la metà, afferma questa ricerca) e che la parte below-the-fold non riceva un attenzione così bassa, come potrebbe pensare, se comparata a quella above-the-fold.

Il 56% delle post-view non esiste.

"È stato scientificamente provato che chi ha il cancro, beve acqua".  Questa era una frase che un mio ex-capo mi diceva quando si parlava di calcolo delle post-view.

Infografica google impression banner visibilità

Google in questa infografica riporta come secondo una survey che include dati di Google e DoubleClick, risulti che più della metà degli annunci deliverati,  pari al 56%, non venga poi effettivamente visualizzato. 

I dettagli sono visibili direttamente nell'infografica stessa, in questo articolo in italiano oppure direttamente dall'articolo originale postato sul blog di Google, da cui ho preso spunto.

La riflessione che pongo in questo post è sulla validità della ratio di una fetta di professionisti che calcola tout-court le conversioni post-impresssion, talvolta con o talvolta senza modelli di attribuzione complessi o complete analisi path-to-conversion.

Le post view piacciono molto alle agenzie alle  concessionarie e ai centri media; meno apprezzate, invece, da molti professionisti che lavorano come advertisers. Di fatto la non azione del click determina che non vi è stata una reazione, un livello tale di attenzione dell'utente che si possa effettivamente certificare attraverso l'azione del click.

In passato, un direttore di una grande concessionaria discusse con il mio allora capo la validità di calcolare le post-view nel processo di conversione. Il direttore della concessionaria dava evidenza, attraverso un esempio, del perché andrebbero calcolate le post-view (in realtà la concessionaria avrebbe gradito che le fossero remunerate con una - a suo dire - più equa fee).

Esempio. In Inghilterra vai a vedere una partita di calcio allo stadio. Il match è sponsorizzato dalla birra Corona. Arrivando allo stadio si vedono già molti manifesti della birra Corona. Quando entri, il biglietto, riporta il logo del brand Corona. Sui cartelloni all'interno e sui vari totem, vedi il logo della nota birra. Alla fine primo tempo, vai al bar e ti serve un tizio che ha il cappellino della Corona. Tu ordini una birra e ti chiedono "Che birra?" risposta "Una corona". Ora di chi è il merito che  quel cliente ha acquistato una corona? Del cappellino che aveva il cameriere o di tutto questa serie di messaggi a cui sei stato esposto?.

Ben inteso l'esempio del direttore della concessionaria ha logica, ma l'obiettivo di quella concessionaria era quello di fare spendere più soldi in adv in un canale che non portava conversioni.

Certo analizzare l'intero percorso di conversione è necessario e anche ovvio, che non si deve generalizzare, ma soppesare anche e soprattuto in quale punto del percorso un impression viene deliverata, da quale tipologia di media e valutare quale media ha portato l'effettiva conversione post click. Occorre sì un approccio olistico nell'analizzare la sommatoria di quelle azioni eseguite, ma è pur vero che in una fase di reportistica si dovrebbe calcolare l'azione della conversione in modo più netto, attraverso il post-click. In questo senso è, senza dubbio, una logica di calcolo più veritiera nel potere attestare che c'è stata un'attenzione espressa dall'utente che si è conclusa con l'effettiva conversione.

Questa survey attesta come solo il 56% viene effettivamente visualizzato e fa riflettere non solo sul peso che una post-view dovrebbe avere, ma anche sulla complessità che alcuni modelli di attribuzioni più completi e complessi dovrebbero rivedere, tenendo in considerazione anche il formato e la posizione che i banner hanno, una volta deliverati. 

Moncler: la comunicazione dei legal nel contesto social

Un interessante articolo pubblicato da Davide Basile che definisce come magistrale ciò che il social media team di Moncler ha posto in atto, dopo che la trasmissione Report ha portato alla luce alcune modalità di lavorazione dei propri capi ed in particolare di una materia prima impiegata, quale la piuma d'oca.

Effettivamente, la crisi di cui si parla non è nata per causa del canale social, come in passato avvenne per il caso di Patrizia Pepe e di una discutibile "linea editoriale", ma per causa di quanto portato alla luce da Report coniugato alla forte cassa di risonanza che il canale social ha avuto durante e dopo la trasmissione stessa, come avviene in questi casi.

Definirla come magistrale, tuttavia, mi sembra esagerato, un'iperbole, dato che ci sono diversi punti in discussione sulla modalità di comunicazione adottata e i tempi durante i quali è stata impiegata. È pur vero che il social media team di Moncler si è trovato a gestire una situazione che la maggior parte dei professionisti del canale social raramente ha sperimentato, mettendo in pratica alcune prassi che spesso vengono descritte in seminari e convegni ma che poi difficilmente si vedono realizzate. 


La comunicazione adottata da Moncler, tuttavia, come mi dice realmente? 
A mio avviso, Report ha sì strumentalizzato quel servizio, tuttavia non hanno mai detto che Moncler usa o non usa le piume rumene di oche spiumate vive, lo hanno fatto intendere e questo sì, non è corretto. La smentita di Moncler, tuttavia, sembra la "classica", quella redatta dall'ufficio legale che riesce a parare il colpo solo in termini di liceità e che con difficoltà comunica in maniera efficace la propria buona fede. Sembra quindi potersi leggere come "il fornitore ci dichiara che le piume non vengono da lì" e questa è la parte locutiva; illocutivamente, invece, sembra quasi suonare "magari sappiamo che non vengono da lì ma se il fornitore dichiara il falso, è un suo problema e io ho contrattualmente le spalle coperte".  

Questo contrasto semantico che le due frasi comunicano, che io come tanti altri avvertono, sembra aderire al concetto di comunicazione che distingue l'identità di un'Azienda con l'immagine. L'identità è la vera natura dell'organizzazione, mentre  l'immagine ciò che l'organizzazione stessa comunica per apparire come desidera. 

Un assioma della comunicazione asserisce che è impossibile non comunicare e sembra ben adattarsi a ciò che Moncler, in questo caso, ha adottato. Per quanto riguarda il social media team e/o il community manager dell'Azienda,  ha sì comunicato in maniera netta e chiara la posizione ufficiale dell'Azienda, ma il canale social, proprio per via della sua natura più informale, dovrebbe spingersi più in là di ciò che è un comunicato stampa o una non-smentita (come alcuni l'hanno definita).

 
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