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10 motivi per cui il divieto della pubblicità sul gioco non risolve problemi

Perché togliere la pubblicità al Gioco non avrà alcun impatto sui problemi di ludopatia?



Premessa: buona parte della pubblicità sul gioco viene acquistata da aziende di gioco online (BET365, William Hill, Unibet, BWIN, Betfair etc..). Il gioco online è pari solo al 7% del gioco in Italia. Ben il 93% è invece generato dal gioco offline, giocato quindi nei tabaccai, bar e sale VLT. 

Di seguito, verranno annoverati 10 punti. Il candidato analizzi i punti suddetti, elabori ed esponga quali vantaggi può portare il blocco della pubblicità degli operatori legali:


  1. solo quando si gioca online, lo Stato attraverso AAMS, traccia e registra tutto, ogni singolo Euro giocato e vinto, identificando in modo univoco il singolo cittadino con il codice fiscale, monitorando e limitando possibili azioni di riciclaggio e comportamenti ludopatici. Avviene su tutti i siti con concessione AAMS, mentre offline, al "baretto" sotto casa, invece, non c'è alcun riconoscimento personale;
  2. solo quando si gioca online è obbligatorio per legge impostare un importo massimo da giocare alla settimana/al mese. Se lo si vuole modificare, bisogna attendere 7gg., al fine di evitare componenti compulsivi. Dal tabaccaio, invece è possibile spendere qualsiasi importo, senza alcun limite;
  3. solo online è possibile l'auto esclusione tra vari operatori per evitare comportamenti ludopatici. Es.: mi escludo dal sito X perché avverto di avere giocato troppo e quindi non posso più giocare neppure sul sito Y. I vari siti online dialogano tra loro, mentre la configurazione attuale dell'infrastruttura offline non consente il dialogo con la parte online (se mi escludo dai siti di gioco online, ma posso poi andare dal tabaccaio sotto casa e giocare, a cosa serve il blocco della pubblicità);
  4. è un caso di diritto unico in Europa, poiché non vi sono Paesi europei in cui il gioco è regolarmentato ma ne viene bandita la pubblicità. Si pagano le licenze per generare un profitto e la pubblicità è una leva per generare profitto;
  5. il gioco online così come gestito finora dall'Italia viene preso dall'Europa come esempio di eccellenza attraverso un'infrastruttura informatica unica al mondo. Non è obbligatorio che in un Paese ci debba essere necessariamente il gioco. Se c'è, è perché il Gioco genera entrate per lo Stato. Maggiori sono le informazioni di gioco tracciate e meglio è. Il gioco online è IL mezzo per meglio controllare possibili azioni criminali e potenziali  ludopatie, come raccomanda l'Europa;
  6. il gioco è un ottimo mezzo per ripulire denaro sporco e interesse di organizzione criminali. Meno tracciato è, e più difficile è per i magistrati ottenere prove. Una parte dele c.d. "macchinette nei bar" è in parte in mano al Gruppo Corallo, dell'omonimo imprenditore catanese. La Dea (Drug Enforcement Agency) degli Stati Uniti lo descrive anche in «elevata posizione» nel clan mafioso Santapaola, ed è stato per anni nella lista dei supericercati dell'Interpol;
  7. il controllo capillare del territorio (a tappetto "baretto" per "baretto") per verificare che le macchine siano a norma da parte delle Autorità, richiede fondi e tempi meno efficienti rispetto a un controllo in tempo reale di un sito web da parte della Polizia Postale o GdF;
  8. il divieto di pubblicità porterà a maggiore crescita dell'illegalità. 80 sono i siti con concessione AAMS. È verosimile pensare che senza pubblicità per attrarre nuovi clienti, alcune aziende con poca etica optino per ritornare ad essere un sito .com, illegale sì e quindi con zero controlli, zero protocolli e zero tasse;
  9. il divieto di pubblicità porterà zero investimenti per le Aziende i mezzi come TV, stampa, radio, siti internet come anche associazioni sportive quali SERIE A, SERIE B e diverse squadre di calcio, che significa inevitabilmente a cascata un minore gettito fiscale e dunque minori entrate per lo Stato, lasciando inalterato il problema della ludopatia;
  10. associare il fumo al gioco è fuorviante, poiché il fumo crea oggettivamente problemi di salute, mentre il gioco può causare ludopatia in alcuni soggetti. Un uomo che scommette 10€ alla settimana sulla sua squadra, non distrugge una famiglia. Un adolescente che gioca alla PlayStation per 3hh. a settimana non ha problemi; per converso, un adolescente che gioca 12hh. al gg. manifesta un problema e necessita supporto, ma non è vietando la pubblicità a Sony che si elimina tale problema nell'adolescente;

In definitiva, il divieto di pubblicità avrà un impatto pressoché nullo sulla ludopatia ed è palese che in compenso porterà maggiore diffusione del sommerso, minore entrate per le Aziende e per lo Stato e minore tutela per il consumatore finale, sfavorendo il gioco online e lasciando inalterato il gioco offline. Favorire il gioco online e meglio tracciare quello offline sarebbe auspicabile per un Governo che si mostri davvero attento alle esigenze e ai problemi dei cittadini, evitando proclami miopistici e grida spagnolesche che fanno sì molto rumore -per nulla- ma che non risolvono alcun problema in materia. 


Sul tema del "gioco" e del "gioco online" c'è molta disinformazione non solo da parte del grande pubblico che è stato poco informato sul tema, ma anche e soprattutto da parte dei nostri governanti, decision maker finali -e ahimé poco competenti,- di importanti scelte di politiche nazionali.

Nota: quanto sopraccitato è una mera opinione personale.

Il DDL Mirabelli o anche "DDL Salva Faccia"

Ariecchice! 

Con il ddl Mirabelli si potrebbe configurare il divieto assoluto di pubblicità e vedere il settore del gioco online del tutto castrato dell'unico mezzo che consente la ricezione di utenti in un'area sicura e più tutelante. 

Perché il gioco online è più sicuro e offre maggiori tutele?
Poiché tutti i movimenti di denaro eseguiti da un conto online sono tracciati via web ed associati a un codice fiscale univoco e reale. Scarse le possibilità di furberie, di riciclaggio di denaro comparate alla rete fisica, dove - ricordiamo - non è richiesto alcun codice fiscale o l'esibizione di un documento d'identità per giocare una schedina o a una slot.

Questo un estratto della proposta di legge avanzata alla Camera.
PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
(Divieto di pubblicità per i giochi con vincite in denaro)
1. E’ vietata qualsiasi forma, diretta o indiretta, di propaganda pubblicitaria, di ogni comunicazione commerciale, di sponsorizzazione o di promozione di marchi o prodotti di giochi con vincite in denaro, offerti in reti di raccolta, sia fisiche sia online.
2. La violazione del divieto di cui al comma 1 è punita con la sanzione amministrativa da euro 50.000 ad euro 500.000.

Ma veniamo al punto però! Già, chi compra la pubblicità, nel settore dei giochi? 
Il 40% della pubblicità del gioco è relativa al gioco online, circa il 30% dalle lotterie (SuperEnalotto, 10 Lotto, GrattaeVinci e compagnia cantante) e circa il 20% il betting che è sia online sia offline. Come è facilmente intuibile, il divieto assoluto della pubblicità porterebbe a colpire in pratica solo e soltanto il gioco online, niente altro (effettivamente per le slot nei bar non ci sono campagne pubblicitarie con i banner o spot in tv :-). 
Inoltre, al momento, il gioco online è l'unico assett del settore giochi che ha un tracciamento del comportamento di gioco e di spesa associate al codice fiscale, volto sia alla limitazione e all'individuazione di dinamiche truffaldine ma anche e soprattutto ai comportamenti configurabili come ludopatici.Sì, di fatto il gioco online è l'unico mezzo che assicura, per il momento, una sicura identificazione dei comportamenti di gioco, di spesa e di salute.

Cosa si prefigge questa proposta di legge? 
Non si comprende bene. Di salvare le apparenza generando più problemi.

Perché il DDL Mirabelli dovrebbe generare più problemi?
Perché il gioco online oltre ad essere tracciato, non genera dipendenza (questo emerge dalle survey statistiche come anche e soprattutto dai dati censuari) e interessa solo il 2% degli utenti internet (circa 550k su 30M di italiani online, fonte: AudiWeb e Osservatori Gioco Online Politecnico di Milano). In un Paese dove il tasso di penetrazione di internet è di circa il 50% (30M di italiani online su 60M) con la pubblicità vietata, una parte di utenza disconoscerà l'offerta online. L'offerta competitiva del canale online è, secondo la Commissione Europea l’unica efficace misura di contrasto dell’offerta illegale. 

Ma cosa succederebbe se entrasse in vigore il DDL Mirabelli?
Per il cittadino? Niente! Sì perché il ddl vieterà solo la pubblicità e non le slot nei baretti, non le VLT  - sai com è, fanno comodo quelle, fanno cassa -. 
Per la collettività? Manderebbe a spasso qualche altro migliaio di dipendenti di Aziende del settore, poiché il divieto di pubblicità di fatto farà drasticamente ridurre il numero di concessionari AAMS.

Giornalisti e Pubblicità. Markette vs TV

Tra le attività precluse ai Sigg. giornalisti dal proprio Ordine c'è quella di fare pubblicità; recita così, infatti, il testo del ODG qui riportato:

Il protocollo d'intesa, firmato il 14 aprile 1988 da giornalisti, agenzie di pubblicità e associazioni di pubbliche relazioni, chiarisce il ruolo del giornalista dinanzi al problema degli inserti, degli annunci, degli spot e stabilisce che i messaggi pubblicitari devono essere sempre e comunque distinguibili dai testi giornalistici. Al giornalista è vietato fare pubblicità, a meno che non sia a titolo gratuito e nell’ambito di iniziative che non abbiano carattere speculativo.
Fonte. http://www.odg.it/content/le-carte

Apprendendo qualche mese fa questa norma, mi sono stupito quando qualche giorno fa ho visto su SKY, il celebre Fabio Caressa in uno spot SKY dedicato ai già clienti. Ovviamente, Caressa lo avrà fatto a titolo gratuito, pro bono, così da essere complaint con la norma. 

Il tema su cui mi soffermo non è tanto Fabio Caressa quanto, invece, quella serie di attività che hanno finalità pubblicitarie quali per esempio i redazionali, le c.d. markette che i giornalisti non potrebbero fare, a rigor di logica, leggendo quanto sopra riportato, ma di cui il web e i magazine cartacei sono pieni. 

SI definisce la pratica ben conosciuta di pubblicità redazionale come quella redatta sotto forma di notizia o di comunicato informativo e inserita, mascherata e dissimulata, tra i normali articoli e servizî del quotidiano o del periodico. (Non ho trovato link a Kotler, questo è della Treccani, ben piazzata nella SERP) 

Non è chiaro, quindi, come l'ordine non consenta ai giornalisti di fare spot TV ma invece permetta di scrivere dei redazionali, in tutto e per tutto una forma di pubblicitàVedremo come e se l'ODG ci potrà illuminare sul tema in oggetto.

Il Decreto "Salva Faccia"

In un precedente post, commentavo il defunto decreto Giochi che potrà essere convertito in ddl e che, al netto dei medesimi contenuti, potrebbe vedere il gioco online come l'agnello sacrificale su cui fare ricadere una normativa piuttosto marziale in tema di pubblicità del gioco online. 

Come espresso in una considerazione di Giovanni Carboni, il decreto sembrerebbe limitare per completo la pubblicità dei giochi, con poche eccezioni, quali "le sponsorizzazioni con uso del solo marchio e logo, la pubblicità istituzionale, le comunicazioni per la promozione del gioco responsabile, le lotterie nazionali. Le lotterie nazionali, salvo diversa interpretazione, sono il Lotto, il Superenalotto e le lotterie differite ed istantanee cioè i GrattaeVinci."

Chi compra la pubblicità, nel settore dei giochi? Basta fare anche solo mente locale sugli spot TV e banner che si vedono oppure rifarsi ai dati di settore: il 40% della pubblicità del gioco è relativa al gioco online, circa il 30% dalle lotterie (SuperEnalotto, 10 Lotto, GrattaeVinci e compagnia cantante) circa il 20% il betting che è sia online sia offline. Come è facilmente intuibile, il divieto assoluto della pubblicità porterebbe a colpire in pratica solo e soltanto il gioco online, niente altro (effettivamente per le macchinette nei bar non fanno campagne web o tv :-). 


Inoltre, al momento, il gioco online è l'unico assett del settore giochi che ha un tracciamento del comportamento di gioco e di spesa associate al codice fiscale, volto sia alla limitazione e all'individuazione di dinamiche truffaldine e comportamenti configurabili come ludopatico-patologici. Sì, niente di strabiliante, dacché per registrarsi a un sito di gioco online (casinò o scommesse, non fa nessuna differenza) si deve compilare un form di quasi 40 campi, controllato in tempo reale da SOGEI, il partner tecnologico di AAMS. Sì di fatto il gioco online è l'unico mezzo che assicura, per il momento, una più certa identificazione dei comportamenti di gioco e di spesa. 


Ma quanto pesa il gioco online? Il comparto online, nel 2014, ha "cubato" solo - si fa per dire - 728M di spesa (fonte: dati Osservatori Gioco Online Politecnico) e rappresenta solo il 4% dei ricavi del settore giochi. Da qui il titolo di questo post. 


Inoltre, il gioco online oltre ad essere tracciato, non genera dipendenza (questo emerge dalle survey statistiche come anche e soprattutto dai dati censuari) e  riguarda poco più del 2% degli utenti internet (circa 550k su 30M di italiani online, fonte: AudiWeb e Osservatori Gioco Online Politecnico di Milano)  la cui offerta competitiva è secondo la Commissione Europea l’unica efficace misura di contrasto dell’offerta illegale. 


Ma cosa succederebbe se si limitasse interamente la pubblicità del gioco?


Dal punto di vista del mercato,
del mercato online, bisognerebbe prendere in considerazione che di 97 operatori AAMS, i top 10 operatori  detengono il 75% del mercato(tra cui WH, PP, BWin, Intralot, Sisal, Lottomatica etc.). Il divieto assoluto della pubblicità, di fatto farebbe precipatare il numero di operatori dagli attuali 97 a poco più 20, forse - volendo esagerare - . Quale azienda resterebbe in un mercato dove non si ha più probabilità di crescita dovuta al divieto di pubblicità (se non con quella istituzionale, ma se il tuo brand non ha awareness, l'azione risulta abbastanza difficile) e con una limitata market share?


Dal punto di vista del cittadino continuerebbero le pubblicità dei prodotti come SuperEnalotto e GrattaeVinci (giochi spesso e volentieri visti in modo più blando rispetto alle slot, ma che offrono percentuali di vincita più basse e che creano comportamenti ludopatici di non minore importanza) continuerebbero le pubblicità di quei brand che hanno il sufficiente tasso di notorietà per essere conosciuti e riconosciuti con un adv istituzionale ma non gli altri (es. Lottomatica, Sisal)  e continuerebbero i fenomeni di ludopatia per gli utenti delle sale fisiche o dei baretti, piccole sale di gioco che non godono oggi di pubblicità e non ne godrebbero domani. Nnon si comprende, infatti, come la limitazione della pubblicità, al netto delle ventilate esclusioni e considerazioni di cui sopra, potrebbe limitare alcuni fenomeni ludopatici.


Insomma, sì, sembra che la compagine online del settore possa divenire l'agnello sacrificale di una certa politica miopistica - a pensare bene - o di azioni politiche più bigotte e poco competenti che sembra abbiano come obiettivo principale quello di "salvare la faccia".

Decreto Giochi. God Save the Adv!

Ed ecco l'arrivo di un'ennesima notizia al cardiopalma che lascia gli operatori del settore, come anche e soprattutto i relativi dipendenti dei 97 concessionari AAMS, senza fiato. È questo l'effetto della tanto discussa manovra di Delega Fiscale che doveva arrivare venerdì 26 giugno sul tavolo del Consiglio dei Ministri e che doveva includere il "decreto giochi". Tra i punti, anche la possibile limitazione completa della pubblicità dei giochi d'azzardo su tutti i canali, ad eccezione delle sponsorizzazioni e iniziative benefiche.

Per ora, il decreto non entrerà in vigore, ma ci si domanda quanto ci vorrà, quanto tempo dovrà durare questa momentanea fase di limbo. Si ipotizza, inoltre, l'eventualità che il (non più) decreto verrà convertito in disegno di legge, con i relativi iter più lunghi e tortuosi.

Già attualmente, a seguito del Decreto "Balduzzi", emesso dall'omonino ministro del precedente Governo Monti, vi sono diverse limitazioni in tema di pubblicità per gli operatori regolari, con concessione AAMS. Tuttavia, il decreto Balduzzi rappresenta un mero palliativo e sembra decisamente un compromesso che non presenta un grado di efficacia sufficiente per arginare la diffusione del gioco. Insomma una soluzione arlecchinesca, un po' all'italiana, del tipo “volemose bène e annamo avanti”, che lascia maculato il tessuto del web. 

Riporto per esempio 3 norme del decreto Balduzzi qui sotto e 3 relative considerazioni:

Per esempio.
  • Norma decreto 1: il divieto di andare on air con spot televisivi 30min. precedenti e successivi di programmmi rivolti a bambini/adolescenti, in TV, radio, cinema etc.
  • Feedback 1: chiunque con un minima competenza in tema di planning - come del resto chiunque dotato di buon senso - comprenderà facilmente che appare abbastanza remota la possibilità che un’azienda spenda soldi, pianifichi di andare on air con spot pubblicitari verso un pubblico non in target, verso un’audience non di riferimento. Personalmente, on conosco un centro media che suggerirebbe a un'azienda di betting/gambling di pianificare su "Bianca e Bernie", anche se in onda alle h.21,10.

  • Norma decreto 2: riportare su qualsiasi spot TV, radio, cartellonistica e anche pubblicitià online una dicitura che avvisi che il Gioco può portare a dipendenza patologica e altri disclaimer come logo AAMS.
  • Feedback 2: Non tutte le forme di pubblicità online. Google AdWords non è soggetta a tali limitazioni e questo canale rappresenta una fetta molto importante nella generazioni di conti. Inoltre, anche i post di facebook sponsorizzati e i promoted tweet non richiedono la dicitura. Quindi quale risultato? Un panorama che risponde solo in parte a ciò che lo stesso decreto si propeneva di mettere in atto.

  •      Norma decreto 3: riportare un'indicazione della possibilità di consultazione sulle probabilità di vincita e/o sulla percentuale di raccolta destinata a montepremi. 
  •      Feedback 3: una "mossa" intelligente per alcuni prodotti, come il Superenalotto, Win for Life, Gratta&Vinci che hanno bassa percentuale di vincita. Per le slot machines, prodotto che dal 2011 vede una prospera crescita nel mercato, invece, questa informazione può anche essere impiegata come più positiva leva di marketing nella comunicazioni. Le percentuali di vincita di molte slot, hanno percentuali di vincita vanno da più dell’85% per arrivare fino anche al 120%! (non male come claim no? ... anzi se guardate qualche annuncio AdWords di qualche Azienda potrete anche vederlo ;-) 

Che dire oltre? Vi sarete già fatti la vostra opinione! Ai posteri l'ardua sentenza..

Il 56% delle post-view non esiste. Parte 2: il planning.


In un post precedente ponevo qualche riflessione alla fase di analisi di quelle che sono le c.d. post-view. A ben vedere, la riflessione non impatta solo sull'analisi, ma anche e soprattutto sulla fase di acquisto. 

Questa survey attesta come alcuni formati e alcune posizioni, a dispetto di ciò che è dato per condiviso ed accettato quasi universalmente, siano quelli che non vengano visualizzati, o per lo meno, non così tanto come ci si aspetterebbe.

I risultati che questa survey porta alla luce, impattano sì sulle fasi di analisi e relative considerazioni che si debbono trarre dopo aver analizzato i propri report, ma ne sono coinvolte anche e soprattutto le fasi di planning e acquisto di alcuni tipi di campagne, come le campagne retargeting, RTB e alcune modalità di attribuzione PV con i network di affiliazione, come il prodotto di Zanox TPV, acronimo di True-Post-View. 

Zanox offre da tempo un servizio per avvantaggiare le modalità di calcolo post-impression che si chiama TPV. I punti 2 e 3 di questa survey minano un po' quel plusvalore che il prodotto vorrebbe offrire. Il prodotto TPV offre posizioni che assicurano il fatto che siano effettivamente viste, poiché i formati sono i 300x250 e 728x90 e solo collocati nella parte alta della pagina. 

Questa survey comunica sia che la parte top dell'area above-the-fold non gode della migliore visualizzazione come si è portati a pensare (quella migliore è sopra la metà, afferma questa ricerca) e che la parte below-the-fold non riceva un attenzione così bassa, come potrebbe pensare, se comparata a quella above-the-fold.

Il 56% delle post-view non esiste.

"È stato scientificamente provato che chi ha il cancro, beve acqua".  Questa era una frase che un mio ex-capo mi diceva quando si parlava di calcolo delle post-view.

Infografica google impression banner visibilità

Google in questa infografica riporta come secondo una survey che include dati di Google e DoubleClick, risulti che più della metà degli annunci deliverati,  pari al 56%, non venga poi effettivamente visualizzato. 

I dettagli sono visibili direttamente nell'infografica stessa, in questo articolo in italiano oppure direttamente dall'articolo originale postato sul blog di Google, da cui ho preso spunto.

La riflessione che pongo in questo post è sulla validità della ratio di una fetta di professionisti che calcola tout-court le conversioni post-impresssion, talvolta con o talvolta senza modelli di attribuzione complessi o complete analisi path-to-conversion.

Le post view piacciono molto alle agenzie alle  concessionarie e ai centri media; meno apprezzate, invece, da molti professionisti che lavorano come advertisers. Di fatto la non azione del click determina che non vi è stata una reazione, un livello tale di attenzione dell'utente che si possa effettivamente certificare attraverso l'azione del click.

In passato, un direttore di una grande concessionaria discusse con il mio allora capo la validità di calcolare le post-view nel processo di conversione. Il direttore della concessionaria dava evidenza, attraverso un esempio, del perché andrebbero calcolate le post-view (in realtà la concessionaria avrebbe gradito che le fossero remunerate con una - a suo dire - più equa fee).

Esempio. In Inghilterra vai a vedere una partita di calcio allo stadio. Il match è sponsorizzato dalla birra Corona. Arrivando allo stadio si vedono già molti manifesti della birra Corona. Quando entri, il biglietto, riporta il logo del brand Corona. Sui cartelloni all'interno e sui vari totem, vedi il logo della nota birra. Alla fine primo tempo, vai al bar e ti serve un tizio che ha il cappellino della Corona. Tu ordini una birra e ti chiedono "Che birra?" risposta "Una corona". Ora di chi è il merito che  quel cliente ha acquistato una corona? Del cappellino che aveva il cameriere o di tutto questa serie di messaggi a cui sei stato esposto?.

Ben inteso l'esempio del direttore della concessionaria ha logica, ma l'obiettivo di quella concessionaria era quello di fare spendere più soldi in adv in un canale che non portava conversioni.

Certo analizzare l'intero percorso di conversione è necessario e anche ovvio, che non si deve generalizzare, ma soppesare anche e soprattuto in quale punto del percorso un impression viene deliverata, da quale tipologia di media e valutare quale media ha portato l'effettiva conversione post click. Occorre sì un approccio olistico nell'analizzare la sommatoria di quelle azioni eseguite, ma è pur vero che in una fase di reportistica si dovrebbe calcolare l'azione della conversione in modo più netto, attraverso il post-click. In questo senso è, senza dubbio, una logica di calcolo più veritiera nel potere attestare che c'è stata un'attenzione espressa dall'utente che si è conclusa con l'effettiva conversione.

Questa survey attesta come solo il 56% viene effettivamente visualizzato e fa riflettere non solo sul peso che una post-view dovrebbe avere, ma anche sulla complessità che alcuni modelli di attribuzioni più completi e complessi dovrebbero rivedere, tenendo in considerazione anche il formato e la posizione che i banner hanno, una volta deliverati. 

Moncler: la comunicazione dei legal nel contesto social

Un interessante articolo pubblicato da Davide Basile che definisce come magistrale ciò che il social media team di Moncler ha posto in atto, dopo che la trasmissione Report ha portato alla luce alcune modalità di lavorazione dei propri capi ed in particolare di una materia prima impiegata, quale la piuma d'oca.

Effettivamente, la crisi di cui si parla non è nata per causa del canale social, come in passato avvenne per il caso di Patrizia Pepe e di una discutibile "linea editoriale", ma per causa di quanto portato alla luce da Report coniugato alla forte cassa di risonanza che il canale social ha avuto durante e dopo la trasmissione stessa, come avviene in questi casi.

Definirla come magistrale, tuttavia, mi sembra esagerato, un'iperbole, dato che ci sono diversi punti in discussione sulla modalità di comunicazione adottata e i tempi durante i quali è stata impiegata. È pur vero che il social media team di Moncler si è trovato a gestire una situazione che la maggior parte dei professionisti del canale social raramente ha sperimentato, mettendo in pratica alcune prassi che spesso vengono descritte in seminari e convegni ma che poi difficilmente si vedono realizzate. 


La comunicazione adottata da Moncler, tuttavia, come mi dice realmente? 
A mio avviso, Report ha sì strumentalizzato quel servizio, tuttavia non hanno mai detto che Moncler usa o non usa le piume rumene di oche spiumate vive, lo hanno fatto intendere e questo sì, non è corretto. La smentita di Moncler, tuttavia, sembra la "classica", quella redatta dall'ufficio legale che riesce a parare il colpo solo in termini di liceità e che con difficoltà comunica in maniera efficace la propria buona fede. Sembra quindi potersi leggere come "il fornitore ci dichiara che le piume non vengono da lì" e questa è la parte locutiva; illocutivamente, invece, sembra quasi suonare "magari sappiamo che non vengono da lì ma se il fornitore dichiara il falso, è un suo problema e io ho contrattualmente le spalle coperte".  

Questo contrasto semantico che le due frasi comunicano, che io come tanti altri avvertono, sembra aderire al concetto di comunicazione che distingue l'identità di un'Azienda con l'immagine. L'identità è la vera natura dell'organizzazione, mentre  l'immagine ciò che l'organizzazione stessa comunica per apparire come desidera. 

Un assioma della comunicazione asserisce che è impossibile non comunicare e sembra ben adattarsi a ciò che Moncler, in questo caso, ha adottato. Per quanto riguarda il social media team e/o il community manager dell'Azienda,  ha sì comunicato in maniera netta e chiara la posizione ufficiale dell'Azienda, ma il canale social, proprio per via della sua natura più informale, dovrebbe spingersi più in là di ciò che è un comunicato stampa o una non-smentita (come alcuni l'hanno definita).

Lottomatica e le percentuali sulle vincite

Ormai è da circa un anno che è entrato in vigore il decreto Balduzzi, provvedimento del governo Monti in tema di sanità pubblica; tra i temi toccati dal decreto c'è anche quello sul gioco, per regolamentare i vari operatori titolari di regolari concessioni AAMS.

Concretamente, il decreto impone agli operatori regole ben precise: la presenza sui siti e sulle pubblicità di diciture definite che invitano - correttamente - al gioco responsabile, le esibizioni del numero di licenza AAMS e altri dettagli da indicare in fase di comunicazione e/o pubblicazione su qualsiasi mezzo, sia esso cartaceo, televisivo, radiofonico e digitale. La pena per coloro che non osservano queste regole, è un'ammenda pecuniaria da 500.000€ a 5.000.000€ per l'advertiser ma anche per lo stesso editore, financo alla sospensione della licenza AAMS. Inoltre, in tema di trasparenza, sui siti degli operatori è necessario esibire in chiaro le percentuali di vincita dei vari giochi (scommesse, giochi di casinò, slot machine etc..). 

E qui casca l'asino. Le probabilità di vincita sono, infatti, l'oggetto di questo post. Visitando i vari siti degli operatori, si vedono talvolta eccezioni, più o meno a conoscenza di AAMS, che fanno riflettere sul rispetto delle norme in materia da parte di tutti. Se alcuni siti come William Hill , Sisal o  Paddy Power riportano diligentemente, come previsto, le percentuali di vincita del mese precedente (ma anche uno storico dei mesi passati), altri operatori riportano delle percentuali di vincita, senza dare evidenza all'utente di quale parametro temporale sia stato adottato nel calcolo delle percentuali o se il dato è aggiornato o meno al mese in corso come Gioco Digitale.

Tuttavia, il caso più singolare è quello di Lottomatica, dove le percentuali di vincita non vengono esibite o sono impossibili da trovare, almeno fino al giorno in cui è stato redatto questo post.

Quindi, una riflessione: le percentuali di vincita vengono esposte per essere compliant con le direttive AAMS o per dare maggiori informazioni agli utenti? Forse azzardo, ma penso che si potrebbe rispondere anche "per entrambi".

Su Paddy Power, Mandela è in buona compagnia.

Tra le aziende che adottano un approccio diverso e che, in seguito, si rivela di successo, c'è certamente la società di betting irlandese Paddy Power. Entrati da circa due anni nel mercato italiano del gambling, hanno adottato un approccio irreverente ed unico che rende, a giudicare dai numeri AAMS e da altre survey di settore.

L'awareness del brand, in questi due anni, è cresciuta da zero a un buon livello, considerando l'investimento monetario, stimato dalle varie survey; tutto questo,  per mezzo di un ottimo prodotto ma grazie anche e soprattutto a delle strategie communicative originali, senza dubbio.


Originale, innovativa e dissacrante -e proprio il caso di dirlo- è stata il caso di uno spot con Gesù che brandisce un bastone allo stadio e che ha riportato una grande eco mediatica, commenti, critiche e censure. Lo spot blasfemo in realtà non è mai andato in onda in TV, ma solo sul web -che non è il far-west, ma un pò sì ;)-. Alcune fonti molto vicine all'Azienda, suggeriscono che in realtà non è stato mai  neanche  presentato alle concessionarie, ma  è stato fatto apposta per essere un'operazione eseguita a regola d'arte, ben sapendo di essere censurata e da lì commentata nelle varie salse e gusti sui vari media. 

Ma si sa,  "non è importante che se ne parli bene o male, basti che se ne parli", dissertazioni sul sentiment che ne deriverebbero, a parte. 

Questo pomeriggio, invece, su facebook vedo nella spalla di sinistra l'immancabile post di PaddyPower dove vedo pubblicato Nelson Mandela.  Cosa c'entra commemorare Nelson Mandela sulla fan page di un sito per scommesse che abitualmente non pubblica questi post di commemorazione?? Certamente non si sarà voluto per forza pubblicare qualcosa, però non si capisce il nesso e forse se ne poteva anche fare a meno di  quel messaggio stile #fbmortacci, giudicando la linea editoriale abitualmente adottata e  a come si colloca, infine, proprio quel post nella timeline di Paddy Power.

 


Amazon Prime Air - Consegna in 30min.

Amazon, da sempre pionere nel settore dell'eCommerce, dopo avere portato alla luce modalità d'acquisto diverse ed innovative (vedi Amazon Fresh, Acquisto 1-Click) oggi comunica di volere testare una nuova modalità di invio merce dal nome "Amazon Prime Air", una consegna in 30minuti, come una pizza sì ma attraverso un drone. 

Se si concretizzerà per tutte le Country, Italia inclusa  (tenendo presente che in US non è un servizio operativo al momento, ma un mero e proprio test) sarà interessante vedere come si svilupperà questa modalità di consegna.  

E se il cliente si ruba il drone? :)
Scherzi a parte, non è un tema da sottovalutare; alcuni eCommerce e relative corrieri, data l'alta percentuali di truffe e furti in alcune zone, evitano di consegnare in quelle aree. Se ci sono casi in cui,  lesti personaggi riescono a sottrarre con destrezza la merce da pagare in contrassegno o a rubare addirittura i mezzi di trasporto durante le consegne, penso al numero di droni che si troveranno poi sul mercato nero.

A parte questo inciso, l'operazione è davvero innovativa e porta davvero un valore aggiunto alla comunità, in termini di celerità nella consegna -in 30min.- e di diminuizione del traffico su strada, seppure ci vorranno anni prima che divenga una reale e concreta modalità di consegna, come riporta la stessa Amazon.

Il futuro è dietro l'angolo. Buona visione!

Un Ministro per Internet? Sì, grazie!



Da circa 10 giorni, si continua a leggere sulla Rete se vi sia o meno la necessità di un “ministro per internet”. Il motivo di tutto questo vociare sul tema, lo si deve al fatto che diverse fonti di informazione hanno portato alla luce i dati monetari del 2010, in cui si dava evidenza di quanto internet, generi ricchezza economica per il Paese e, di consegeunza, quanto valore monetario apporti nelle casse dello Stato.
Come molti avranno letto, ad oggi il web copre il 2% del PIL, ossia 50 miliardi di €uro. 

È questa la cifra che la cosiddetta economia digitale ha prodotto nel 2010: 30 miliardi generati e 20 miliardi prodotti indirettamente, per mezzo dell'indotto. Ma non è tutto; dal 1995 ad oggi, infatti, internet ha generato non solo mere grandezze monetarie ma anche grandezze occupazionali: sono ben i 700.000 posti di occupazione nei 15 anni della sua presenza nel "sistema Italia”. E se qualcuno volesse chiosare, indicando anche quanto lavoro ha sottratto ad altri settori, secondo McKinsey, emerge anche il dato che per ogni posto di lavoro perso a causa di Internet si creano altri 2,6 posti di lavoro


Oltre all'importanza che questo asset ricopre, inoltre, vi è anche il fatto che è definito ormai come "insostenibile" lo spread digitale dell’Italia nei confronti dei principali Paesi del mondo e d'Europa; l'elevato tasso del c.d. digital divide in Italia, causato dalle aree non coperte dal segnale ADSL, dalla scarsa presenza della Banda Larga -della banda larga ribadisco, non della ADSL- e dalla insufficiente presenza di sostenuti incentivi monetari per le classi meno abbienti, finalizzati all'acquisto di strumenti per l'accesso alla Rete. 

Insomma, misure e grandezze che spiegano il perché sia nata la legittima domanda del perché non sia ancora presente un ministero per internet. Certamente sarebbe auspicabile che un asset economico come internet -o meglio, in senso ampio l'economia digitale in generale- che genera importanti valori monetari e volumi d'affari e possa avere un'attenzione, da parte del Governo, più dedicata e maggiormente sensibile.

Come si è visto dai dati alla mano, già oggi esso ricopre un peso critico per il PIL e per l'economia del Paese in generale; ma l'attenzione deve anche essere verso il medio-lungo periodo, dato il peso che questo segmento andrà sempre più ad assumere nei prossimi anni, in misura direttamente proporzionale ai volumi di crescita YoY. Le stime di alcune autorevoli survery su questo tema (cfr. Cisco) ,mostrano previsioni di crescita, dal 2010 al 2015, molto nette ed estremamente mutevoli. 

Se le stime condotte, fossero previsioni aderenti alla realtà a cui si andrà in contro -cosa non difficile- dovrebbe essere un imperativo irrinunciabile la presenza di un soggetto autorevole che che con vivo interesse e sentita priorità guidi il Paese verso un miglioramento -di molto operabile- in questo settore. È quindi necessario, purtroppo, porre in evidenza il fatto che gli sforzi sinora condotti, tesi al miglioramento del successo dell'economia digitale, seppure apprezzabili, siano ancora troppo insufficienti e poco adeguati alle caratteristiche di questo contesto .  

Varrebbe la pena porsi la questione su come funziona negli altri Paesi comunitari e senza fare troppi chilometri, si può osservare quanto è stato fatto in Francia. Oltre alpe, infatti, non vi è un "ministero di internet" così rigidamente definito, ma neppure un ministero del cosiddetto -e poco focalizzante- “sviluppo economico” bensì un "ministero dell'industria, energia ed economia digitale". Il ministro Eric Besson è il soggetto a capo di questo dicastero; a differenza  dei nostri ministri, è spesso presente nei forum reali e virtuali, in cui si approfondiscono ed affrontano temi riguardanti il web e l'economia digitale. Eric Besson è anche un fervente utilizzatore di Twitter, impiegando questo strumento, non solo come mezzo di divulgazione ed aggiornamento, ma anche come spazio di confronto ed interazione con i cittadini, a differenza di quanto avviene con -alcuni- dei i nostri politici, dove il canale Twitter sembra a volte essere solo un mezzo di propaganda veicolato dal proprio ufficio stampa; a nome di Monsieur Besson, si trovano due account su Twitter: il primo è quello gestito dal Ministro, mentre il secondo è gestito dal capo gabinetto del dicastero. 

E in Italia quale ministro si occupa della cosiddetta economia digitale? La risposta è il -ben noto- neo ministro Corrado Passera e precedentemente ministro Paolo Romani, a capo del Ministero dello Sviluppo Economico. La denominazione scelta oltre alpe di "Ministero dell'industria, energia ed economia digitale" mostra con maggiore nitidezza quelli che sembrano per il governo gli asset chiave da salvaguardare e sviluppare, rispetto ad una denominazione più fumosa e dai contorni non ben definiti quale "sviluppo economico". A prescindere dalla scelta del significante, anche il significato non sembra includere con nitidezza l'asset "internet" come elemento critico per l'economia domestica e l'interesse nazionale. Se si legge quali sono le competenze del ministero dello sviluppo economico, non appare neanche una sola volta la dicitura "internet" o "economia digitale". 

Non è certo un nome a dare maggior peso alle scelte politico-operative, tuttavia, il fatto che un governo scelga una denominazione come "Energia, Industria ed Economia Digitale" dà immediata evidenza e consapevolezza di quali siano gli elementi chiave del tale dicastero, rispetto a "Sviluppo Economico". Non è la semiotica a fare la differenza o dare maggiore chiarezza agli obiettivi, ma è pur vero che ciò nei primi del Novecento si chiamava "Ministero della Guerra" oggi si chiama "Ministero della Difesa".

L'internet Mobile in Giappone: istruzioni per l'uso

Qualche giorno fa mi sono imbattuto in un tweet che rimandava ad un articolo in cui si descriveva il profilo del settore Mobile, nel mercato giapponese


Non solo questa fonte, evidentemente, ma anche altre survey condotte su questo tema, in particolare una survey di InnovAsia mostrano parametri e peculiarità di un mercato molto diverso per usi e per cultura che genera un panorama completamente distinto e distante, non solo dal quadro dei Paesi europei più avanzati ma da quello nord americano. Distinzione netta e lontana non solo dalle comparazioni socio-culturali ma anche distante anche da un immaginario collettivo che riflette solo parzialmente, talvolta in modo fumoso, il panorama reale. 


Il mercato dell’internet mobile in Giappone

Il panorama del Mobile in Giappone. Qualche cifra.
Il mercato giapponese è composto da 5 attori, del settore Telco, che si dividono 112 milioni di abbonati GSM, in un Paese il cui numero di abitanti è di 127 milioni. Il 97% degli abbonati GSM, pari a 108,5 milioni di abitanti dispone di un piano con servizi 3G; di questo 97%, inoltre, 1 su 2 dispone di un abbonamento dati illimitato. 
Da quanto sin qui tratteggiato si evince con chiarezza un indice di mobile divide estremamente netto. Inoltre, considerando il fatto che il 97% dei 112M di abbonati GSM dispone di un servizio 3G, il tasso di penetrazione è  pari al 85%. Da un ricerca di Morgan Stanley, questo dato si attesta come il più alto a livello globale e  se comparato ai tassi di penetrazione con alcuni Paesi europei, ben si vede lo stacco verso le nazioni (Spagna, Svezia ed Austria) che raggiungono le vette delle classifiche d'Europa, con un tasso di penetrazione pari circa al 40%.


Differenze strutturali
Occorre sottolineare che il mercato nipponico presenta una differenza di dimensioni in rapporto al mercato europeo; in Europa lo sviluppo di un’applicazione o di un servizio mobile include almeno 4 attori: l’operatore del servizio (TIM, Vodafone, H3g, Wind, etc..) il produttore del dispositivo, il produttore del sistema operativo che implementa nel telefono cellulare  ed infine lo sviluppatore finale. Generalmente, in Giappone, questi attori divengono un unico soggetto; l’operatore (per esempio NTT DoComo) è allo stesso tempo costruttore di GSM, il creatore del sistema operativo montato sul cellulare e lo sviluppatore dell’applicazione; è dunque, un po’ come avviene con Apple, eccezion fatta per il ruolo di provider.

Una seconda cosa importante da sapere è che i giapponesi sono una popolazione con una minore presenza di laptop e desktop; per molti utenti del Sol Levante, il GSM è l’unica interfaccia –personale- disponibile per accedere al web. Mentre in Europa, si ha la tendenza a moltiplicare le varie interfaccia e punti d’accessi in funzione degli usi e/o delle circostanze, il giapponese sembra utilizzi di default il suo GSM –e solo quello- nelle varie occasioni.

Un telefonino per la vita?

L’aspetto più importante del mobile in Giappone è la sua completa integrazione in tutti gli aspetti della vita quotidiana. Gli smartphones, infatti, in questo Paese non sono dedicati solo ai cosiddetti geek, a coloro che twittano a qualsiasi ora o ai consumatori pioneristici, i cosiddetti early adopters. In Giappone, il mobile si indirizza tanto alla casalinga -di meno di 50 anni- che paga il biglietto della metro con il proprio smartphone (in modo “contactless”, il cosiddetto m-ticketing) quanto al teenager che scannerizza un codice a barre o un codice QR per beneficiare dei coupons di sconti sul suo prossimo Big Mac.

Il mobile è dunque utilizzato come una chiave, un identificativo che permette di essere collegati tra i differenti canali digitali e le differenti risorse, siano esse off line oppure on line.

In conclusione
Il mercato del Giappone è un universo parallello in cui sono diversi gli approcci, gli strumenti utilizzati per accedere al web e per fruire dei suoi contenuti; inoltre, la dicotomia pc-cellulare è spesso meno frequente di quanto si pensi e l'uso di questi tool di tipo mobile va al di là della semplice fruizione di contenuti online ma assume funzioni e funzionalità che gli consentono di essere massicciamente presente nel tessuto sociale, poichè parte integrante di alcune attività quotidiane.

Cara TeleTu basta col telemarketing!

Da qualche giorno continuo a ricevere telefonate da parte di TeleTu -o sedicenti tali- per cambiare gestore telefonico. Le solite ondate di chiamate di telemarketing che ogni azienda telco che si rispetti deve fare, per sviluppare il proprio business ed aumentare la propria customer base. 

A volte, però, queste attività vengono demandate in outsourcing per maggiore convenienza economica; non di rado avviene, però, che gli operatori delle le aziende fornitrici di telemarketing, per avere un "aggancio" migliore con il potenziale cliente, si spaccino per la tale azienda di telecomunicazioni, anche se in realtà ovviamente non lo sono.

Che cosa è successo nella fattispecie? Nell'arco di 4 giorni, sono stato contattato ben 5 volte per propormi un cambio di operatore; seppure ogni volta avessi indicato con forza ed educazione che non intendevo cambiare gestore telefonico né essere ricontattato per finalità commerciali, ho continuato a ricevere telefonate. 5 telefonate in 4 giorni. Al limite del ridicolo e dello stalking.

Dopo aver parlato con vari operatori, alla fine richiedo di parlare con un loro superiore per esporre con maggiore chiarezza la mia richiesta, di non essere più ricontattato. Mentre cito argomenti un po' scomodi -per loro- come il fatto che non ho prestato né al consenso al trattamento dei miei dati personali né al fatto di essere contattato per finalità commerciali, il -cosidetto- superiore mi liquida, riattacandomi il telefono. Evidente e comprensibile è la frustrazione che un'azione di questo tipo può fare nascere.

Scrivo due righe da inoltrare a TeleTu, quindi, dove indico che dopo essere stato contattato ben 5 volte in una settimana, dall'azienda fornitrice di TeleTu per attività di telemarketing (con prefisso 011 - area di Torino), la tale società ha mostrato oltre ad un vero e proprio comportamento scorretto e vessatorio, poca professionalità e inadeguatezza relazionale -a sfavore di TeleTu, dacché si è spacciata per tale- ed infine scarsa efficienza produttiva per l'azienda cliente, continuando a chiamare un cliente che non era interessato ad aprire un conto, anziché impiegare il tempo a disposizione per  contattare altri prospect. 

Prima di scrivere all'AGCOM e al Garante della Privacy per richiedere formalmente l'interruzione di tale attività vessatoria verso il mio numero di telefono, ho ritenuto opportuno e corretto inoltrare prima una segnalazione direttamente a TeleTu. 

Adesso viene il meglio.

Vado sul sito di TeleTu e ricerco il classico link "Contattaci"; accedo alla pagina ma mi accorgo che non c'è nessun link per scrivere loro se non si è un già cliente oppure un vecchio cliente. Allora, mi domando "Ma ciò è possibile? E soprattutto è legale? È possibile che non si offra di fatto, alcun canale di contatto scritto con l'azienda?

Avendo a che fare con temi legati alla comunicazione per canale online, ed un'esperienza professionale presso una società di telecomunicazioni, so che vi sono alcune norme che il Garante definisce su questi temi di natura. Per esempio, quando si inviano delle newsletter, il garante impone che si dia la possibilità all'utente di disiscriversi; si inserisce quindi un link di unsubscribe o si dà evidenza di come fare per disiscriversi dalla ricezione di una tale comunicazione. Ma quindi in questo caso? È possibile che vi sia un link per contattare l'azienda solo se si è già clienti o vecchi clienti e nessun link per dei non clienti? Vero è che vi sono differenze normative tra quanto regolato sulle comunicazioni o sulle pubblicazioni. 

Ad ogni modo qui c'è qualcosa che non va.


Proseguiamo andando sulla condizione più simile a quella di un non cliente, ossia quella di essere un vecchio cliente. Vado sulla pagina e vedo un breve form da compilare. Alcuni campi sono obbligatori, marcati con un asterisco -ma senza nessuna legenda- e altri non marcati come obbligatori, es. il codice cliente. Ottimo! Compilo il form e dettaglio quanto avviene. Termino e clicco su invia, ma il campo marcato come "non obbligatorio", per contro, deve essere compilato, altrimenti non si può inviare alcuna comunicazione.

Per porre fine alla faccenda, chiamo il numero -a pagamento- di TeleTu, 848.991022 e l'operatrice oltre a non "potermi" passare alcun suo superiore, mi riferisce che per temi relativi ai reclami il metodo di contatto è la raccomandata. Beh, direi che per un internet provider la raccomandata è senza dubbio il mezzo che si confà maggiormente.

Insomma, complimenti a TeleTu per la scarsissima qualità di gestione del sito e delle informazioni (se non siano finalizzate all'apertura di un conto), complimenti per l'attenzione al cliente, complimenti per la scelta qualitativa delle società fornitrici di telemarketing. Beh, dacché si tratta al massimo di pochi €uro di differenza con le promo di altri providers,  dacché la differenza appare flagrante tra l'immagine comunicata e l'identità reale dell'Azienda, di certo non diventerò vostro cliente. Si può chiosare con il solito tema: certo, un cliente in meno non fa la differenza, ma la Rete serve anche a comunicare le proprie esperienze negative e a fare percepire un'immagine meno patinata di quella che a volte si riesce, con successo, a comunicare ma che poco ha a che vedere con l'identità reale dell'Azienda.

Ecco la mail post licenziamento al telefono del CEO di Yahoo!

Ed ecco che in tempo zero, si propoga per la Rete, l'evidenza della notizia che nelle ultime ore gira ormai su tutte le pagine dei principali social networks e fonti di informazioni. 

Carol Bartz, CEO di Yahoo! è stata licenziata non come di "consueto" per mezzo di una comunicazione annunciante il triste evento, ma la decisione intrapresa dal CDA di Yahoo!, le è stata comunicata attraverso una comunicazione via telefono. Certo per il violaceo gigante della comunicazione online, annunciare questa sceltà vis-à-vis avrebbe stonato, l'ex CEO, Carol Bartz, infatti si aspettava di ricevere una mail, non una telefonata.

Qui a lato, la schermata di un dipendente di Yahoo! che ha ricevuto dal proprio -ex- general manager, una breve mail dove indica la decisione presa dal consiglio di amministrazione sottolineando, in modo piccato, il modus operandi intrapreso nel comunicarle la decisione presa, per voce -via telefono- del presidente del Board, Mr. Roy Bostock.

La scelta decisa dai Board Committees, come ovvio, non è stata felice per Mrs. Bartz, ma ancora più scottante appare essere -e a ragion veduta- la modalità di comunicazione di un fatto così delicato.

Il CDA, aveva due ordini del giorno. Il primo scegliere quale tonalità Pantone del colore viola mantenere, come colore ufficiale del brand Yahoo! e se licenziare il CEO, Carol Bartz. Il Chairman del Board, ha detto: "allora, smarchiamo prima i punti meno delicati. Licenziamo Carol Bartz. Tutti d'accordo? Ottimo! Adesso ci concentriamo su quale tonalità di viola scegliere". :-)

Battute a parte, non per tutti oggi è un triste giorno. Gli shareholders di Yahoo! infatti hanno bene da essere contenti. Dopo il -forse- mesto annuncio, il titolo ha ottenuto le attenzioni degli investitori, che hanno fatto salire il titolo del 6%, superando durante le contrattazioni la soglia dei 13$ per azione. 

Concludiamo quindi rivisitando un antico adagio: "Se Sparta piange, Atene ride" -E alla grandissima!-

 
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